Ad oggi le conseguenze della monocoltura e dell’eccessivo utilizzo del terreno risultano sempre più ingenti. Tra queste è evidente la difficoltà di portare a compimento la stagione, a fronte degli attuali cambiamenti climatici e come il prodotto sia poco valorizzato o utilizzato per scopi industriali che esulano dalla nutrizione e dalla tutela ambientale. A questa situazione si cerca di ovviare con tecniche sempre più innovative, ma spesso si lasciano da parte alcuni accorgimenti che in realtà si possono rivelare più utili di quanto si possa pensare.

consociazione

Una di queste tecniche agronomiche è la consociazione, una pratica che combina specie diverse sulla stessa superficie di terreno al fine di sfruttarla al meglio e di poterne trarre benefici a livello ecologico, economico e paesaggistico.

Piuttosto comuni, soprattutto in passato, sono le consociazioni tra diverse specie vegetali, di ortive differenti o di erbacee ed arboree. Quest’ultime oltre a costituire una barriera frangivento per le prime, potevano offrire un’ulteriore fonte di reddito su quelle aree di appezzamento che non sarebbero state sfruttate dalla coltura erbacea.

Le piante più comuni utilizzate a questo scopo sono state viti ed ulivi, ma nel Nord Italia, soprattutto nella parte occidentale, sono visibili le tracce che alcune consociazioni hanno lasciato sul territorio, come i campi circondati da pioppi. Zona, quella dell’Italia settentrionale, in cui spesso si è assistito alla coesistenza sulla stesso campo di più specie vegetali: si pensi a zucca o fagiolo rampicante seminati insieme al mais e la bulatura del frumento (trasemina a febbraio di trifoglio nel grano, per avere un prato già attecchito dopo la raccolta del cereale). Oppure, tra due arboree, come la vite “maritata” alle querce o al ciliegio, per avere sostentamento.

Combinare in modo intelligente specie diverse non riguarda esclusivamente il mondo vegetale, che infatti può comportare vantaggi anche se abbinato a quello animale.

Ne è un esempio concreto quello di Cesare Castellini, agricoltore umbro, che ha parlato della sua esperienza durante il convegno “L’allevamento biologico migliora l’impatto ambientale?” organizzato da Crea insieme a ZooBioDi e finanziato da Mipaaf, tenutosi lo scorso 3 Novembre presso il Castello Bolognini di Lodi.

L’Umbria è una regione caratterizzata da un paesaggio molto variegato e complesso, con un sistema orografico composto da fiumi, altopiani e massicci montuosi che ospitano insediamenti umani la cui visita, ogni anno, richiama turisti. Tale morfologia del territorio, inoltre, si presta più alla coltivazioni di piante arboree (ulivi e viti tra le più diffuse) rispetto a quella di piante erbacee, ed un’agricoltura intensiva non avrebbe ragione di esistere data l’asprezza del territorio.

La superficie italiana costituita da uliveti in aree marginali ammonta a circa 1 milione di ettari e rischia l’abbandono e l’espianto è impedito da leggi nazionali a tutela del paesaggio.

sinergia tra alberi e animali

Castellini, per valorizzare e dare futuro a questo areale, propone una strategia di allevamento curiosa che sfrutta la sinergia tra alberi e animali al fine di trarre benefici sia dagli uni che dagli altri, prestando contemporaneamente attenzione alla salvaguardia del territorio. Il sistema consiste nella consociazione tra ulivi e polli allevati estensivamente in modo biologico, all’interno degli uliveti.

L’efficienza del sistema in termini di produzione di carne è inferiore a quella di un allevamento intensivo, soprattutto se viene presa in considerazione la superficie per ogni capo, ma se considerata associata a questo particolare contesto, risulta tra i più funzionali possibili. “Gli input necessari alla fertilizzazione del suolo sono minori rispetto a quelli richiesti senza consociazione e soprattutto di origine rinnovabile”, ricorda Castellini durante l’incontro a Lodi. Ciò grazie alle deiezioni degli avicoli localizzate vicino alle radici proprio perché, per loro comportamento naturale, si limitano a sostare per la maggior parte della giornata al riparo degli alberi.

Anche gli apporti di insetticidi per la lotta alla mosca si riducono: cibandosi delle drupe cadute a terra i polli riducono l’innesco dell’attacco causato dalla generazione che potrebbe sfarfallare dalle olive presenti sul suolo e non raccolte.

Infine, un’importante risvolto di tale pratica è quello di consentire l’eliminazione totale dei trattamenti di diserbo poiché i polli, razzolando, svolgono il controllo stesso di tutte le malerbe. Consociando ulivi e polli in quel tipo di zona marginale risulta così possibile risparmiare l’utilizzo di suolo e limitare l’impatto ambientale.

Consociazione e qualità nel bio

Non essendo il biologico solo un protocollo di produzione, con questo sistema di allevamento è possibile correlarlo ad un alto livello di qualità.

La carne di polli allevati attraverso questo metodo è più magra, contiene più antiossidanti ed ha un maggior livello di omega-3 (acidi grassi polinsaturi essenziali), il cui rapporto con gli omega-6, nel corso dell’evoluzione umana, si è spostato da 1:1 a 20:1 raddoppiando esponenzialmente dagli anni ’50 in cui il rapporto era arrivato a 10:1.

Risultati simili sulla qualità della carne si notano Polli allevati in consociazioneanche in quella di oche allevate in consociazione con piante di vite. In questo caso, gli animali apportano alle piante un buon quantitativo di macroelementi e lo stile di vita ne modifica la composizione della carne, anch’essa più ricca di vitamine (soprattutto vitamina E), antiossidanti e omega-3 ed un quantitativo di acidi grassi saturi più ridotto.

Per giunta, le uova prodotte in avicoltura estensiva risultano composizionalmente diverse: peso minore, ma maggior contenuto di luteina, un carotenoide che contribuisce alla salute generale degli occhi, oltre che rappresentare una delle sostanze antiossidanti presenti in natura.
Questa sostanza cresce da una media di 168 µg in uova di galline allevate convenzionalmente, fino a 287 µg con il particolare sistema di Castellini, con il quale anche il contenuto di ω-3 risulta sensibilmente diverso, quadruplicandone il contenuto rispetto al controllo.

E’ doveroso sottolineare come questo metodo presenti ancora alcuni problemi, primi tra tutti gli episodi di predazioni da parte di animali selvatici. Ciononostante rappresenta comunque un buon esempio d’ingegno che dimostra come sfruttare al meglio zone marginali e, al contempo, permette anche di poterle salvaguardare in maniera più efficace.

Parallelismo tra Umbria e Piemonte

Il ciliegio è, come l’ulivo, una pianta coltivata spesso in aree marginali e non richiede molti ingressi in campo per le operazioni colturali, se non durante la raccolta.Consociazione del ciliegio nelle colline del torinese

Nella collina torinese, ed in particolare nei comuni di Pecetto e Trofarello, i suoi frutti hanno già una bella reputazione.

Pensando di contestualizzare il metodo umbro in altri areali italiani, come quello piemontese, perché non pensare di valutare l’efficacia di una consociazione simile con piante di ciliegio e di amarena?

Gli interventi a favore del controllo delle infestanti verrebbero ugualmente ridotti, gli attacchi della mosca potrebbero essere contenuti dagli animali che si cibano delle drupe cadute e forse, per lo stesso motivo, consentirebbero di limitare anche i danni causati da Monilia laxa, il fungo responsabile dei marciumi che causa disseccamenti e spesso cascola dei frutti.