Dal 2003, con la riforma Fisher, la PAC, oltre a cambiare il premio (prima l’aiuto era accoppiato diventa disaccoppiato unitario a superficie, calcolato sulla media dei premi percepiti storici), ha introdotto un’altra importante rivoluzione nelle produzioni agricole ovvero la Condizionalità. Questo termine riprende la parola inglese “conditional” (sottoposto a condizione) così da avvisare gli agricoltori Europei che i premi saranno pagati se verranno rispettate una serie di condizioni quali il rispetto dell’ambiente e le buone condizioni agronomiche ambientali.

Tutti questi obblighi fanno riferimento a dei Regolamenti CE e Direttive Comunitarie che impegnano gli agricoltori dell’Europa a modificare brutte consuetudini della “nuova agricoltura” (monocoltura, iperconcimazioni, intensivizzazione, ecc…). Sono tutte regole accolte inizialmente con un po’ di fastidio, ma poi accettate malgrado tutte le implicazioni burocratiche. Durante il decennio trascorso, la Condizionalità è già stata modificata dalla sua entrata in vigore e anche con la nuova PAC 2014-2020 subirà variazioni o meglio si percepiranno le differenze, in quanto  la Politica Agricola è stata programmata con attenzione seguendo le linee dettate dalla Strategia Europa 2020 per la tutela dell’ambiente e della Biodiversità.

Ma cosa è la Biodiversità, termine molto diffuso che compare spesso all’interno dei documenti che riguardano la PAC, e che sino a pochi anni fa era sconosciuto? È un termine relativamente nuovo, esso viene usato la prima volta nel 1986 e deriva dalla contrazione in una sola parola dell’espressione “diversità biologica” di cui si intende la varietà della vita in tutte le sue forme livelli e combinazioni. Questa diversità è generatrice di ecosistemi che sono la combinazione dinamica di microrganismi, piante, animali che interagiscono con l’ambiente che li circonda; questa parola misura la salute del pianeta. Maggiori sono le specie che interagiscono e migliore è la salute dell’ambiente, maggiori sono le specie che scompaiono peggiore è la salute dell’ambiente.

Tutto questo interagire non è fine a se stesso, ma genera dei servizi il cui ultimo fruitore è l’uomo; come la decomposizione della sostanza organica nel terreno ad opera della microflora del terreno. Basti pensare quando il terreno è sterile, privo di microrganismi e organismi viventi: si può interrare ogni tipo di concime che non verrà mai modificato o assimilato, al massimo dilavato dalle piogge; oppure il processo di depurazione delle acque senza batteri o l’impollinazione senza insetti pronubi. Tutti questi sono definiti servizi ecosistemici forniti grazie ad un ambiente naturale tutelato, in cui persiste una biodiversità di esseri viventi. Poiché tutti questi servizi sono sempre stati a disposizione gratuitamente, il loro valore non è mai stato valutato appieno soprattutto dal punto di vista economico; ora si sta cominciando a valorizzare economicamente questi servizi.

Sinora i servizi ambientali sono stati tutelati prevalentemente attraverso strumenti di regolazione, principi vecchi che ormai comunemente accettati come quello del “pollutter pays” (chi inquina paga), ma a questo si sta cercando di aggiungerne di nuovi come i cosiddetti “Pagamenti per Servizi Ecosistemici” (PES), ossia meccanismi di mercato basati su incentivi economici.

In pratica si tratta da un lato di trasformare il servizio di ecosistema in un vero prodotto di mercato, dall’altro di riconoscere il diritto del produttore del servizio stesso di richiedere un corrispettivo economico al consumo del bene.

Questo concetto è all’origine della Politica Agricola Comunitaria che destina parte del budget europeo agli agricoltori, affinché questi svolgano una funzione di interesse generale: la produzione di beni pubblici in cui l’ambiente resta centrale. In sintesi i cittadini europei pagano l’agricoltore per avere un ambiente in salute.

L’importanza che la UE riconosce alla Biodiversità si misura dai premi che questa assegna per il pagamento delle pratiche agricole benefiche per l’ambiente. Pensiamo al Greening: un pagamento per le pratiche agricole benefiche per il clima e l’ambiente, che va a remunerare la produzione di beni pubblici, in linea con gli obiettivi della Strategia Europa 2020. È la seconda componente per importanza dopo il pagamento di base, per un ammontare corrispondente al 30% del massimale nazionale. In Italia si ritiene che il pagamento ecologico possa attestarsi sui 90-100 euro/ettaro a cui vanno poi sommati i premi e gli incentivi assegnati dalle misure agro-ambientali del PSR.

Senza dubbio il Greening e le altre misure ambientali del PSR hanno dentro le formulazioni europee delle grosse contraddizioni che difficilmente saranno superate con tecnicismi, ma ritengo fondamentale l’impostazione ideologica che viene attribuita all’agricoltore, che non è più colui che inquina, ma è il soggetto che crea servizi per il bene comune e come tale viene remunerato.

Dopo questi chiarimenti bisogna far capire al mondo agricolo, per chi non ne avesse ancora compreso l’importanza, che la Biodiversità, i servizi ecosistemici e la tutela dell’ambiente non sono un freno o un fastidio di cui bisogna sopportare le conseguenze, ma si deve capire che per un’agricoltura di prima fila, che produce qualità e reddito questi sono una risorsa a cui affidarsi.